domingo, 2 de junio de 2013

2 GIUGNO 1962: LA BATTAGLIA DI SANTIAGO

“2 GIUGNO 1962: LA BATTAGLIA DI SANTIAGO” DI ALBERTO FACCHINETTI

La Battaglia di Santiago - la partita che Cile e Italia disputarono al Mondiale di calcio nel 1962 - è un ricordo che compie oggi cinquant’anni. Malgrado non possa essere considerata alla stregua della partita del secolo, la gara è rimasta nella memoria di cileni e italiani, allora semplicemente ragazzi innamorati del pallone.
Qualche anno fa lo scrittore cileno Luis Sepúlveda, mentre presentava un suo nuovo libro in Italia, accennò a quell’episodio: “Avevo 12 anni, quando si disputò il Mondiale del 1962. In Cile era un grande avvenimento perché per la prima volta c’era la tv. Nata per il calcio… La mia famiglia non possedeva il televisore e mio padre convinse il padrone del bordello accanto a casa nostra, che ne aveva uno, a ospitare noi ragazzini del quartiere per vedere le partite. Quella fu anche la prima volta che entrai in un bordello. Il mio ricordo: un mucchio di bambini che cantavano l’inno nazionale cileno. Davanti alla tv, davanti alle prostitute”.
La televisione cilena, nata soltanto qualche anno prima con alcuni
rudimentali esperimenti, trasmise la gara in diretta. Il 2 giugno 1962, alle ore tre del pomeriggio, tutta la capitale guardava la partita. Chi non si trovava sugli spalti dello stadio Nacional di Santiago, era davanti alla tv.
Ce l’ha ancora in mente, la Battaglia di Santiago, anche Eduardo “Mono” Carrasco. L’artista cileno, che faceva murales per appoggiare Salvador Allende, vive in Italia dal 1974 quando fu costretto dalla dittatura di Pinochet a lasciare il suo paese. “Avevo otto anni – mi ha raccontato – e allora vivevo con la mia famiglia nel quartiere dello stadio. Proprio a un chilometro dal Nacional, dove spesso si andava a giocare in uno dei tanti campi dell’impianto sportivo. In quegli anni si viveva il quartiere in maniera diversa da oggi, si scendeva in strada e quando c’erano le partite ci si riuniva. In casa non avevamo il televisore, che arrivò soltanto qualche anno dopo. Di quella partita ricordo le urla che arrivavano dal campo, e poi i festeggiamenti per le strade. Spesso le porte dello stadio venivano aperte nel secondo tempo, ma quella volta per Cile-Italia no. C’era già troppa gente.
C’era un clima di grande festa in paese, alimentato anche dal governo Alessandri, che come sempre accade tentava di nascondere i problemi usando il pallone come strumento”.
Una volta in Italia “Mono” ha conosciuto Bartolomeo Vaccarezza, un ex partigiano di Chiavari che nel dopoguerra si era trasferito in Cile alla ricerca di un lavoro. Qui fece fortuna come imprenditore, diventando anche un importante dirigente della squadra Santiago Wanderers e avendo pure un ruolo operativo nell’organizzazione di quella Coppa Rimet. Ritornato in Italia, anche lui espulso dal Cile nei Settanta, per essere stato un militante comunista, ebbe modo di parlare con Carrasco di quella partita. La testimonianza di un italiano, che nel 1962 viveva in Cile. “Allora ho tifato per il Cile, ma sono rimasto un po’ scosso dopo la partita. Perché vinta la gara, tutti i cileni continuavano a dire di aver sconfitto l’Italia 2-0, senza però tenere conto di tutto quello che era successo in campo”. La figlia di Bartolomeo, morto nel 2008, conferma la testimonianza riportatami da Carrasco. “Nel 1962 – mi dice Aurelia Vaccarezza - ero molto piccola e i ricordi di quel giorno sono molto vaghi. Mi ricordo soltanto la grande amarezza di papà. Era un uomo conosciuto da tutti e fu bersagliato da amici, conoscenti, e anche da gente che non conosceva affatto, talvolta pure con toni forti. Quando parlava di quella partita, diceva sempre che inizialmente aveva sperato in un pareggio. Poi però, dopo la tensione che si era creata a causa dei giornalisti italiani, il suo tifo andò alla squadra cilena. Infine dopo aver visto in campo quella battaglia, si schierò in difesa della squadra italiana. Mio padre visse quella partita in maniera conflittuale”.
Mentre presentavo il mio primo libro Doriani d’Argentina, ho avuto
l’occasione di conoscere il cileno Rodrigo Diaz. In Italia anche lui dal 1974, è da molti anni il direttore del più importante festival di cinema latino americano in Europa. Forse l’idea di scrivere questo libro, è nata proprio durante quella chiacchierata. “Vivevo nel barrio Lo Vial, comune di San Miguel ma ancora provincia di Santiago – mi ha raccontato Rodrigo. Il sindacato dei lavoratori aveva dotato la palestra del quartiere di tre o quattro televisori, apposta per seguire il Mondiale. Il pomeriggio di quel 2 giugno volli esserci anch’io. Avevo 12 anni e ci andai con i miei amici, mia mamma era al lavoro e non avevo nessun parente con un televisore in casa. Ho ancora negli occhi la gente presente e i festeggiamenti che si fecero dopo. Le televisioni erano piccole, quindi seguimmo la gara soprattutto a
livello emotivo. Ma ricordo bene la teatralità dei calciatori italiani: in campo qualche botta se la saranno pure presa ma siccome non riuscivano a reagire con il gioco, visto che non ne avevano, cercarono sistematicamente di ingannare l’arbitro con simulazioni”.
Horacio Duran, uno dei leader degli Inti Illimani Historico, mi ha confidato che il 2 giugno 1962 era presente come spettatore allo Stadio Nacional. Aveva un abbonamento che copriva tutte le partite di Coppa Rimet, disputate a Santiago. Con gli Inti Illimani scrisse nel 1982 un racconto sullaBattaglia di Santiago, per il libro Il calcio è una scienza da amare. Raccontarono cosa significò per loro, una volta trasferitisi in Italia, quella
partita. “Se al nostro arrivo in Italia non avessimo dovuto sospettare con gran sorpresa che gli italiani trasmettono per vie genetiche il loro rancore verso Leonel Sánchez, avremmo dimenticato quella partita come l’hanno dimenticata tutti i cileni. Ma dato che gli italiani appartengono a quella categoria di tifosi che il calcio cercano anche di praticarlo, ci è toccato di ricevere un buon numero di calci e gomitate, dirette tra i denti a Leonel, da parte di ragazzi che all’epoca della partita famosa non erano nati o avevano al massimo uno o due anni. Senatori della Repubblica, vescovi, registi cinematografici ed altri importanti interlocutori, non hanno saputo nascondere un lampo assassino nello sguardo quando, scherzando,insinuiamo che l’arbitro Aston ha sbagliato quando ha evitato l’espulsione a
Sánchez, ed è stato invece giusto espellere David e Ferrini, o quando ci azzardiamo a proporre una ritrasmissione della partita che, a distanza di anni, permetterebbe un giudizio più obiettivo sull’accaduto. La partita Italia-Cile del 1962 ha costituito un ostacolo insormontabile per più di una amicizia che avremmo potuto stringere in questa nostra seconda patria, e non sono mancate quelle ragazze che hanno condizionato il loro affetto verso di noi ad una previa condanna dell’operato di Leonel. Siamo arrivati a capire che il marchio d’infamia come cileni è quello di essere compatrioti dell’ala sinistra Sánchez”.
Quelle 38 dichiarazioni d’amore al gioco più bello del mondoche
costituivano il corpo del libro, erano stato curate da un giovane politico italiano, con la passione per il calcio e per la scrittura. “Avevo sette anni – mi racconta oggi Walter Veltroni - e ricordo bene quei Mondiali, perché erano i primi che seguivo in modo consapevole. Come tutti i ragazzini di quella età non stavo nella pelle, le settimane precedenti. La televisione stava entrando sempre di più nelle case degli italiani, era l’estate del Cantagiro, e a proposito di Giro e di ciclismo ero appena rimasto incantato, alla Tv, di fronte alla prima edizione del Processo alla tappa di Sergio Zavoli. Quei Mondiali nascevano sotto buoni auspici, per la Nazionale italiana. A me bastava un nome, per cullare il sogno, anzi la quasi certezza, che avremmo fatto sfracelli: Omar Sivori. Di quei novanta minuti, poi, ricordo la
sensazione di sbigottimento, per me che ogni partita di calcio la vivevo come una festa. Falli a ripetizione, risse in campo, l’arbitro inglese che caccia via due azzurri, Ferrini e David, mentre chiude un occhio, se non tutti e due, sulle entratacce e le provocazioni dei cileni, a cominciare dal pugno in faccia che Sánchez affibbiò al nostro Maschio, uno dei tanti oriundi di
quella Nazionale. Il risultato, due a zero per il Cile, rappresentò solo l’ultimo brutto aspetto di una giornata da dimenticare, di un Mondiale da archiviare, di un’attesa lunga quattro anni da mettere in conto. Un tempo che ricordo mi parve insopportabile: quattro anni prima di vivere di nuovo un campionato mondiale di calcio, l’avvenimento sportivo più bello che ci potesse essere, per un ragazzino della mia età”.
In Italia la partita non fu trasmessa in diretta televisiva. Nei mesi precedenti alla Coppa, alcuni tecnici europei specializzati nel settore, avevano raggiunto il Sud America per capire se sarebbe stato possibile organizzare le dirette tv per il vecchio continente. Niente. E così gli italiani si accontentarono della radiocronaca, questa sì in diretta, e della trasmissione della partita 50 ore dopo il match. Questo perché non essendo possibile la trasmissione via satellite, i filmati venivano montati a Santiago e trasferiti in aereo, passando da Londra via New York, a Zurigo e Francoforte. Per essere finalmente immessi nel circuito dell’Eurovisione. Se dunque la radiocronaca, fatta da Nicolò Carosio, passò in Italia alle ore 20 del giorno della festa della Repubblica italiana, la partita in tv venne vista alle ore 22 di lunedì 4. Con telecronaca di Nando Martellini, che commentò già sapendo il risultato. Tanto che al 74esimo minuto, prima del
calcio di punizione che porterà al primo gol del Cile, anticiperà ai telespettatori che “su questa punizione crollano le possibilità di portare a termine lo zero a zero”.
La sera del 2 giugno sul Programma Nazionale gli italiani videro invece la partita contro la Germania Occidentale. Quindi quando in tv passarono la prima gara del Mondiale dell’Italia, per paradosso gli azzurri avevano già preparato le valigie per tornare a casa. Perché era chiaro ormai che la terza ed ultima gara del girone, quella contro la Svizzera, sarebbe risultata ininfluente.
Per anni è stato quasi dimenticato che in Italia la Battaglia di Santiago non venne vista in diretta. I ricordi sono ben impressi nella testa di chiunque abbia vissuto quella partita, ma a volte risultano, come è logico che sia, un po’ sfocati. Fu Gian Paolo Ormezzano nella sua Storia del Calcio di fine anni Settanta a ricordarlo ai lettori. Lo stesso Ormezzano mi ha confessato di aver spento il televisore dopo sette minuti. “Io sono stato tifosissimo del Grande Torino, ed espulso Ferrini per me la partita perse di ogni interesse”.
Daniele Protti, oggi direttore dell’Europeo, allora era un diciassettenne che amava il pallone e viveva nella sua città natale, Mantova: “Ricordo la radiocronaca – mi ha raccontato - e si capiva che su quel campo lontanissimo dall’Italia si stava giocando qualcosa di diverso da una partita di calcio. Perché era una sequenza pressoché ininterrotta di falli (dei giocatori cileni) e un nome mi rimase subito impresso: Leonel Sánchez che
menava e menava, e spaccò il naso con un pugno al nostro Maschio”.
Anche Gianfranco Civolani, non ancora un giornalista affermato nel 1962, non può dimenticare le parole del radiocronista siciliano: “Ricordo la radiocronaca di Carosio, che ne disse di tutte su quell’arbitro inglese parziale e fazioso”. Un giorno passeggiando per le strade di Milano con Roberto Beccantini, ho volutamente tirato in ballo la partita di Santiago. Mi interessava sapere cosa ne pensasse il giornalista. Roberto ha immediatamente recitato come una filastrocca: “Escuti, Eyzaguirre, Navarro, Contreras, Raúl Sánchez, Rojas, Ramírez, Toro, Landa, Fouilloux, Leonel Sánchez”. Ero sbalordito, si ricordava a memoria la formazione del
Cile, non quella dell’Italia. “Allora avevo undici anni e mezzo e una grande memoria. Così come so a memoria gli undici del Real Madrid che batterono la Juve, sempre nel 1962: a volte le sconfitte ti restano in testa più delle vittorie. Quella di Santiago fu la prima rissa che ebbi modo di vedere in tv, vidi le provocazioni dei cileni, e noi che abboccammo”. Della Battaglia di
Santiago ne ho discusso anche con Rino Tommasi, che a Santiago ci andrà invece nel 1976, per la contestata Coppa Davis vinta dalla Nazionale italiana di tennis. “Nel 1962 vivevo già a Roma, e ho visto la partita comodamente a casa mia, in tutta tranquillità. Me la ricordo bene. Ero già vecchio – scherza Tommasi - avevo 28 anni e facevo l’organizzatore di incontri di pugilato, cosa che mi ha ritardato l’entrata nel mondo del giornalismo. A Santiago abbiamo fatto di tutto per buttarla in rissa, ma non ci conveniva e così siamo stati penalizzati. Abbiamo completamente perso la testa”.
Nel 2007 anche Edmondo Berselli scrisse della partita inAdulti con riserva - Com’era allegra l’Italia prima del ‘68. Ed è proprio con lui - se n’è andato nel 2010 prima che potessi chiedergli un ricordo - che mi piace chiudere questa introduzione: “Avevamo appena cominciato a respirare, a farciqualche regalino, a guardare con timido ottimismo all’avvenire. Per i campionati mondiali del 1962 in Cile avevamo perfino comprato la televisione nuova, con un’antenna esterna posta su un palo della vigna accanto a casa, che tuttavia risultava troppo bassa e non prendeva benissimo. Certo non avevo assorbito facilmente la terribile delusione della spedizione italiana che si era conclusa nella vergogna e nella disperazione. Ma il piacere di vedere la partita della Coppa Rimet seduto nel tinello di casa, talvolta con un paio di amici e una minestra preparata per tutti, prevaleva sulle disgrazie della nazionale azzurra”.

FONTE: “La Battaglia di Santiago – 2 giugno 1962: Cile-Italia 2-0” di Alberto Facchinetti (Urbone Publishing, maggio 2012)
Contatti: alberto.facchinetti1@virgilio.it   www.albertofacchinetti.it www.scrittoridisport.it

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